La raccolta del Bingo pesa solo l’1,5 per cento sul totale nazionale, ma ha più forza lavoro rispetto ad altre tipologie di offerta
Entrate erariali per 182 milioni di euro ed una spesa di 459 milioni. I giocatori del Bingo hanno acquistato cartelle per 1.647 milioni di euro, di cui 1.519 milioni nel “Bingo di sala”, e il valore residuo attraverso il “Bingo a distanza”. Si tratta di un dato sostanzialmente stabile, che conferma la dimensione di nicchia occupata da questa tipologia di offerta che si attesta solo all’1,5% dei volumi complessivi di giocate del gioco pubblico. E’ quanto emerge dal Rapporto Eurispes sul Bingo, su dati del 2018 di Adm, “Il Bingo nella crisi del gioco legale in Italia: rischi e prospettive dell’offerta più “social” della galassia del gioco”.
Il Bingo rappresenta un quadro rassicurante all’interno del quale la dimensione di socializzazione mantiene uno spazio evidente, determinato dalla compresenza di molti giocatori, dal rapporto “fisico” con gli addetti alla gestione del gioco in Sala, dal limitato ruolo “strumentale” della tecnologia utilizzata per le estrazioni, dalla collocazione in spazi adeguati e salubri i cui standard assicurano una permanenza gradevole, arricchita dall’offerta di servizi collaterali di qualità, come la ristorazione.
Assai interessante è il dato che riguarda la dimensione occupazionale. L’organizzazione del Bingo assorbe tra gli 8.000 e i 10.000 addetti (una media intorno a 50 lavoratori per ognuna delle 203 sale attive al 31 dicembre 2018), per circa il 60% donne, generando inoltre un forte indotto.
Malgrado le sue caratteristiche di luogo di socializzazione, il Bingo è stato ed è soggetto alle forti compressioni che discendono da alcune legislazioni regionali e dai regolamenti comunali.
Al 31 dicembre 2018 le Sale Bingo operative erano 203, condotte da 130 società concessionarie, riferibili ad alcuni gruppi operativi a livello nazionale e internazionale, e più frequentemente, a piccole realtà imprenditoriali locali attive con una, due o tre Sale al massimo, all’interno di àmbiti regionali. L’allestimento delle Sale Bingo comporta un costo di investimento medio complessivo stimabile attorno ai 2,5 milioni di euro. Alcune Sale superano le 600 postazioni, circa un terzo delle Sale offre tra 400 e 600 postazioni, ed oltre la metà opera fino a 400 postazioni.
Delle varie tipologie di gioco lecito offerte sul territorio nazionale, il Bingo è senz’altro quello maggiormente labour-intensive. Le Sale Bingo si avvalgono di personale specializzato in diversi ruoli: accoglienza, vendita e controllo in Sala. A ciò si aggiunge il personale dei servizi di ristorazione, guardaroba, vigilanza, pulizie e cassa per la gestione degli apparecchi Awp e Vlt. Tra occupazione diretta delle società concessionarie e società di servizi dell’indotto, come già detto il Bingo occupa attualmente più di 8.000 persone, con costi del personale (vale a dire redditi lordi dei lavoratori) stimabili in una quota intorno al 45% dei ricavi lordi della filiera.
Ma quali e quanti sono i giocatori del Bingo? Sarebbero 1,1 milioni di giocatori, il 58% di sesso femminile ed una spesa media mensile pro capite (su giocatori) di 33 euro. La spesa media mensile pro capite (su popolazione residente +18 anni) è invece di appena 70 centesimi.
Il 45% dei giocatori ha l’abitudine di andare in Sala in compagnia ed un ulteriore 23% di andare più spesso a giocare in compagnia che da solo: la somma di queste percentuali supera i due terzi del campione, un dato che identifica la percezione della sala Bingo come luogo di incontro per attività di intrattenimento. L’età media è di 50 anni.
Nel Rapporto sul Bingo, l’Eurispes sottolinea l’impatto fortemente negativo di alcune legislazioni regionali e dei regolamenti comunali sulla tenuta economica delle Sale Bingo, dato che le limitazioni poste in essere all’offerta del gioco pubblico, anche quando non direttamente indirizzate al Bingo, finiscono con il penalizzarlo e, addirittura, mettono a rischio la prosecuzione stessa dell’attività. Addirittura, il “distanziometro” può ridurre il consumo di gioco nei giocatori “sociali”, ma non ha alcun effetto sul giocatore patologico; al contrario, risulta funzionale all’obiettivo di occultare al proprio àmbito relazionale e familiare i comportamenti patologici. L’introduzione di tale strumento, che prevede una distanza (solitamente 500 metri o almeno 300) da un lungo elenco di luoghi così detti “sensibili” (scuole, chiese, centri di aggregazione, palestre, ecc.) da rispettare per gli esercizi che offrono gioco pubblico attraverso apparecchi, produce concretamente o produrrebbe nella maggior parte dei territori la pratica espulsione dell’offerta legale perché, al momento del varo delle leggi (e anche successivamente) non si era provveduto ad una loro mappatura. La limitazione degli orari dell’offerta induce il giocatore patologico, ove non trovi altro sfogo, a concentrare in fasce ridotte le sue pulsioni, approfondendo le dinamiche compulsive in spazi temporali maggiormente omogenei per quanto riguarda le manifestazioni patologiche, e che contribuiscono a creare una dimensione di ghetto. Erga omnes, la forte riduzione dell’offerta di gioco pubblico, quando non la sua pratica espulsione ad opera del “distanziometro”, apre spazi che vengono immediatamente occupati dalle attività illegali gestite dalla criminalità organizzata, che da sempre ha nel gioco clandestino uno dei suoi core business.