Polimeccanica (settore che, ad esempio, si occupa della riparazione dei trattori indispensabili nella filiera agroalimentare) e produzione agricola (manca la manodopera ed i raccolti, soprattutto quelli per la grande distribuzione, potrebbero essere a rischio) potrebbero essere i primi settori a ripartire dopo la scadenza (13 aprile) della proroga delle misure di contenimento per l’emergenza Coronavirus. Il 13 si capirà anche se e come il virus ha aggredito il Sud. Uno spartiacque. Per questo l’idea di una apertura diversa da regione a regione appare più di una ipotesi. L’Istruzione e l’Università invece hanno già deciso: fino a maggio scuole e atenei restano chiusi. Così come bar e ristoranti. Domani dovrebbe vedere la luce il nuovo Dpcm “Cura imprese” con i 200 miliardi previsti per il sostegno all’economia. Ma comunque tutta la settimana prima di Pasqua sarà dedicata al tema delle riaperture. Il Pd insiste (non incontrando però il gradimento del M5S e del premier Conte) per una cabina di regia allargata con governo, associazioni di categoria, imprese, sindacati, partiti dell’opposizione, rappresentanza di governatori, rappresentanza dei sindaci. Repubblica parte da uno domanda ed una ricostruzione storica per leggere la contrapposizione virus-economia. Prima smettiamo con la quarantena e meglio è? No, dice l’esperienza storica. Uno studio della Fed mette a confronto città americane nell’anno della spagnola (che ebbe tre ondate, fra il 1918 e il 1919). Le città (come St. Louis) che adottarono più rapidamente le misure di quarantena più aggressive non solo ebbero meno morti, ma ripartirono, economicamente, prima e più in fretta delle città (come Filadelfia) che avevano lasciato l’epidemia estendersi e corrodere il tessuto socio-economico. La priorità, dunque, secondo la maggioranza degli economisti, è impedire che una quarantena necessaria si traduca nel collasso dell’economia. Vuol dire mantenere i redditi delle famiglie, con la cassa integrazione nel caso dei lavoratori dipendenti o con sussidi diretti nel caso degli autonomi e fornire alle imprese la liquidità necessaria per pagare debiti e fornitori ed evitare che falliscano o che siano costrette a licenziare i dipendenti. E il calcio prova a ipotizzare una ripartenza, dandosi come data di rilancio dei campionati quella del 20 maggio. Per quanto riguarda il settore scommesse, difficilmente per quella data ci saranno le agenzie riaperte (anche se si sta spingendo per una riapertura anticipata garantendo la distanza di un metro tra chi entra in agenzia e vietando la sosta all’interno delle stesse), mentre il futuro del segmento delle slot è molto legato alla riapertura dei bar e di quello che sarà permesso fare subito al loro interno. Per il momento si parla di entrate nei bar contingentate e solo per consumazioni rapide, con le slot inizialmente ancora spente. Difficile capire invece come la riapertura riguarderà sale bingo e sale dedicate dove tavoli ed apparecchi troppo vicini rappresentano un problema. In ogni caso il settore del gioco pubblico si aspetta dal governo un sostegno come tutti gli altri comparti e non essere sempre considerato un segmento di serie B. Anche perché il settore è comunque una fonte di entrate rapide e sicure indispensabili per l’Erario soprattutto in questo momento.
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Palazzo Chigi ha chiesto a tutti i ministeri di presentare a stretto giro una lista delle attività che devono riaprire e di quelle che al contrario devono rimanere chiuse. Allo stesso tempo il comitato tecnico scientifico sta valutando gli ultimi dati, con l’obiettivo di produrre un documento da sottoporre al premier. L’idea è quella di cominciare con una riapertura parziale di alcune fabbriche, probabilmente quelle che operano nella filiera agroalimentare e sanitaria, forse anche della meccanica e della logistica. L’allentamento della stretta potrebbe interessare anche alcuni negozi, mentre tutte le attività ad alta concentrazione di persone in spazi chiusi, come bar, ristoranti, sale giochi, sale scommesse, sale bingo, cinema, teatri, stadi andrebbero automaticamente in coda.
E’ stata la Lombardia la regione che nel 2019 ha speso di più nei giochi, oltre 3,2 miliardi di euro, doppiando quasi la Campania, seconda in questa speciale classifica con 1,85 miliardi di euro. E’ quanto emerge dall’analisi regionale condotta da Agimeg sui dati ADM. Terzo gradino del podio per il Lazio, con una spesa che ha superato 1,81 miliardi di euro: le prime tre regioni da sole valgono quasi 7 miliardi, il 39% della spesa totale in Italia. Proseguendo nella classifica, quarto posto per l’Emilia Romagna a 1,3 miliardi, mentre chiudono la top five con 1,1 miliardi a testa Sicilia, Veneto, Puglia e Toscana. Sopra quota 1 miliardo anche il Piemonte. A livello erariale, la Lombardia ha contribuito con oltre 2 miliardi di euro, il Lazio con 1,02 miliardi mentre la Campania con quasi 982 milioni.
REGIONI 2019 | RACCOLTA | VINCITE | SPESA | ERARIO |
ABRUZZO | 1.971,0 | 1.497,0 | 473,6 | 267,4 |
BASILICATA | 514,7 | 383,0 | 131,6 | 76,5 |
CALABRIA | 1.789,0 | 1.329,0 | 460,0 | 259,1 |
CAMPANIA | 7.676,0 | 5.822,0 | 1.853,0 | 981,8 |
EMILIA ROMAGNA | 6.037,0 | 4.670,0 | 1.365,0 | 827,1 |
FRIULI V.G. | 1.369,0 | 1.030,0 | 339,0 | 200,0 |
LAZIO | 7.607,0 | 5.791,0 | 1.815,0 | 1.021,0 |
LIGURIA | 1.848,0 | 1.392,0 | 456,0 | 265,2 |
LOMBARDIA | 14.502,0 | 11.215,0 | 3.286,0 | 2.035,0 |
MARCHE | 1.848,0 | 1.399,0 | 449,6 | 260,4 |
MOLISE | 352,2 | 262,6 | 89,5 | 52,2 |
PIEMONTE | 4.553,0 | 3.512,0 | 1.040,0 | 573,4 |
PUGLIA | 4.568,0 | 3.430,0 | 1.137,0 | 631,2 |
SARDEGNA | 1.631,0 | 1.164,0 | 466,6 | 277,2 |
SICILIA | 4.561,0 | 3.388,0 | 1.171,0 | 622,7 |
TOSCANA | 4.866,0 | 3.746,0 | 1.119,0 | 648,7 |
TRENTINO A.A. | 1.187,0 | 926,0 | 261,3 | 151,8 |
UMBRIA | 1.032,0 | 784,7 | 247,4 | 147,7 |
VALLE’D’AOSTA | 92,8 | 70,0 | 22,8 | 13,0 |
VENETO | 6.124,0 | 4.682,0 | 1.142,0 | 849,7 |
elaborazione Agimeg su dati ADM, dati in milioni di euro |